martedì, Luglio 2, 2024
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Questa Meloni può durare 5 anni: ma a quale prezzo?

Roma, 5 gen – In rinvio, la conferenza stampa di circa tre ore del premier Giorgia Meloni consegna tanti spunti di riflessione. Su tutti, quelli della personalità di un premier che, nonostante i risultati modesti del suo esecutivo, difficilmente potrebbe cadere nei prossimi anni. Il punto è: a quale prezzo? Quello di una “sella stabile” che non riesce a incidere? Riflettiamoci.

Questa Meloni può durare tutta la legislatura

Giorgia Meloni può durare agilmente per cinque anni: questa è la sensazione dopo una idea attenta della conferenza stampa in cui, ieri, il presidente del Consiglio è oggettivamente riuscita a mostrare la capacità di confrontarsi con una stampa spesso concentrata più sulle idiozie che sulle questioni serie (si pensi alle provocazioni su Elon Musk e i suoi figli, forse il punto più basso della conferenza stessa). Può durare agilmente in virtù di una stampa incapace di metterla all’angolo, ma anche di un’opposizione oggi virtualmente inesistente, più in avanti che – questo va sempre ribadito – di una capacità di “accomodamento” del premier nei confronti delle  numerose realtà sovranazionali che limitano di fatto la sovranità del Paese. Ora, il punto è un altro: posto che nessuno discute le capacità dialettiche – e diciamolo, anche politiche – della Meloni, a quale prezzo questo governo potrebbe arrivare a fine corsa senza traumi? Della impossibilità di incidere in qualunque modo sul futuro di questo Paese o di una minima – ma davvero minima – influenza su almeno alcune questioni dirimenti. Perché governare senza governare nulla, si sa, è abbastanza inutile. Sullo sfondo, forse, i due risultati che chiunque dovrebbe sperare dal governo Meloni: la riforma della rettitudine e del premierato (nonostante la seconda sia sostanzialmente vuota, in termini di poteri e strutture, nella versione proposta da FdI e dalla maggioranza). Tralasciando e mettendo proprio da parte “fantomatici Piani Mattei” che ad oggi sono una pura illusione (sulla quale speriamo vivamente di essere smentiti).

La differenza – pur di sfumatura – esiste

Il “sono tutti uguali” non regge, sebbene sia vero che, a livello di “decisività” si parli di un Paese, l’Italia, incapace di esprimere una politica propria. E questo per responsabilità di tutta la classe dirigente, nessuno escluso. Tuttavia, pur nella delusione assoluta che il governo Meloni ha finora rappresentato anche per le più “modeste” aspettative, qualche sfumatura di differenza con il centrosinistra sussiste. Sussiste nel “No” al Mes, sussiste perfino nella – oggettivamente deludente – approvazione del “nuovo” Patto di Stabilità. Non sbaglia chi sostiene che questo centrodestra abbia deluso su praticamente tutti i fronti – incredibilmente anche “di cartello” per l’elettorato, come immigrazione o il contrasto all’ideologia gender, di cui si salva solo la lotta all’utero in affitto – ma non sbaglia neanche chi, semplifcando e usando parole poverissime, sostiene che “nelle trattative europee quegli altri non si sarebbero neanche seduti a discutere”. “Quegli altri” sono quelli che appartengono all’universo Pd. In qualche maniera, nonostante complessivo, l’esperienza pur modesta del governo di centrodestra ci mostra ancora una volta che esiste un “nucleo” del male probabilmente insuperabile, che viene dalla “solita” area politica.

Forse la riflessione da fare è un’altra: ovvero il fatto che, indipendentemente da questa constatazione, che resta in piedi, oggettiva e da tenere a mente sempre, per le battaglie politiche, nazionali e patriottiche del futuro, essa serva a poco per produrre ciò che ci interessa di più: una classe dirigente di livello nettamente superiore a quella attuale, che riprenda a difendere seriamente l’interesse nazionale, che non si limiti “almeno a trattare” quando “quegli altri manco lo fanno”, ma che sia realmente incisiva dei destini di questa Nazione.

Stelio Fergola

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