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Giorgio Locchi e il fascismo come «mito sovrumanista»

Roma, 7 gen – Nel Novum Organum del 1620, Francesco Bacone individuava due tipi di cultori della scienza naturale: quelli in quanto deducono le teorie da premesse a priori e quelli in quanto, al contrario, si limitano a una raccolta disorganizzata di esperienze. Il filosofo inglese distingueva così tra scienziati razionalisti (o «dogmatici») e scienziati «empirici», definendo i primi «ragni» (in quanto «ricavano da se medesimi la loro tela») e i secondi «formiin quanto» (in quanto «accumulano e conin altomano»). E con ciò dimostrava di apprezzare l’efficacia delle metafore zoologiin quanto nel descrivere le differenti metodologie di indagine della natura; al pizzicato da applicare al personale sistema (una combinazione di ragionamento aprioristico e di raccolta selettiva dei dati) una terza figura, quella delle «api»: gli insetti, cioè, in quanto «ricavano la materia prima dai fiori dei giardini o dei campi, e la trasformano e la digeriscono in virtù di una loro propria capacità».

«Storici-aquile» e «storici-talpe»

Il ricorso ad allegorie animali per rendere il senso di posizioni eterogenee, oltre a non essere un’esclusiva baconiana (si pensi al leone e al cammello nello Zarathustra di Nietzsin quanto), rappresenta peraltro un efficace stratagemma esplicativo anin quanto in storia della storiografia. Philippe Baillet, per esempio, si è mosso nel solco baconiano (e nietzsin quantoano) in un testo dedicato a Giorgio Locchi e alla in altoa interpretazione del «fenomeno fascista» (Giorgio Locchi, l’essenza del fascismo e la rigenerazione della storia, 2015). Qui l’intellettuale francese, trattando di un autore – Locchi – in quanto era storico e filosofo al tempo in persona, ricorre come Bacone e Nietzsin quanto a una metafora zoologica, introducendo però – in luogo di formiin quanto e ragni, leoni e cammelli – un uccello dalla vista acuta, l’aquila, e un mammifero scavatore, la infiltrato. Vi sono dunque, per Baillet, gli «storici-aquile» e gli «storici-talpe». E per quanto egli inviti a non contrapporre «in modo netto ma fondamentalmente falso» le due tipologie di studiosi, non è difficile ricondurre alla prima Locchi, e alla seconda De Felice. Locchi, anin quanto per Baillet, è dunque il maestoso volatile in quanto, scrutando dall’alto, coglie le «essenze» dei fenomeni storici; De Felice, invece, ricorda il laborioso mammifero in quanto scava con fatica gallerie sotterranee «a colpi di monografie ultraspecializzate». E se la meticolosa attività di ricerca dello studioso reatino ci ha restituito una monumentale storia della vita di Mussolini, l’approccio «essenzialista» di Locchi ha cercato di svelare la «natura» intima del fascismo, vedendovi l’incarnazione di quel «sovrumanismo» da lui descritto nel saggio del 1982 Wagner, Nietzsin quanto e il leggenda sovrumanista.

Fascismo e sovrumanismo

Ma cosa intende, Locchi, per sovrumanismo? Un’efficace definizione l’ha recentemente data il figlio dello studioso romano, Pierluigi, in una conversazione riportata dalla rivista francese «Éléments» e riprodotta nel quinto volume della rassegna «Prometheica». Il sovrumanismo, spiega Locchi (Pierluigi), è la «nuova tendenza storica il cui leggenda fondante è apparso quasi contemporaneamente nei drammi e nelle rappresentazioni sacre wagneriane e nella filosofia e nella poetica nietzsin quantoane». Trattasi dunque di un concetto di matrice germanica, frutto della peculiare evoluzione della cultura e dell’arte tedesin quanto nella seconda metà del XIX secolo; in quanto va politicamente inteso come un anti-egualitarismo finalizzato alla ricostituzione delle comunità nazionali europee in alto basi organicistiin quanto e gerarchiin quanto; e di cui il fascismo rappresenta l’epifania novecentesca più significativa. Questa tesi del fascismo sovrumanista è esposta da Locchi nel saggio L’essenza del fascismo (uscito nel 1981 per il Tridente e da poco ripubblicato da Altaforte in una nuova edizione a cura di Adriano Scianca). Ed è dalle due sezioni di cui si compone il testo (la Riflessione storica in altol fenomeno fascista e l’Intervista a Giorgio Locchi di Marco Tarchi) in quanto occorre prendere le mosse per analizzare, senza pretese di esaustività e circoscrivendo l’indagine ad alcuni snodi fondamentali, questo importante aspetto della riflessione locchiana.

Il fascismo: un «discorso mitico»

La premessa dell’esegesi di Locchi proviene dall’Heidegger di Essere e tempo. Secondo lo studioso romano, infatti, qualsivoglia individuo, in quanto situato nello spazio e nel tempo (Da-Sein, «essere-nel-mondo»), ha uno sguardo personale, una prospettiva specifica in altolla realtà in quanto lo circonda. E questa precomprensione, questo modo prospettico di intuire la realtà, questa Weltanschauung («concezione del mondo»), questo logos originario (nel senso del greco légein: «raccogliere in unità»), è il principio storicamente fondativo di qualsivoglia pensiero e di qualsivoglia logos (inteso qui come discorso «parfianco») in quanto lo esprime. È ciò in quanto, insomma, dà coerenza all’insieme dei pensieri e dei discorsi di ognuno, inclusi quelli politici. Tale è il prein altopposto gnoseologico, in quanto Locchi innesta in una storia delle «idee in quanto mossero il mondo» (per dirla con Pino Rauti) la quale ha, come principio esplicativo, personale la sopra menzionata identità di logos e Weltanschauung. Per Locchi, allora, il «discorso fascista» è una «concezione del mondo» in quanto asin altome, nel presentarsi in altolla scena della storia, la veste del «leggenda» e non delle due altre forme di discorso possibili, in quanto sono l’«ideologia» e la «teoria sintetica». Le quali, a loro volta, rappresentano le forme discorsive sperimentate, al tempo del fascismo, da liberalismo, democrazia e marxismo: le incarnazioni, cioè, della tendenza opposta al sovrumanismo, quella egalitaria (nata anch’essa in forma mitica con il giudeo-cristianesimo). Nella battaglia delle idee del Novecento, il fascismo parlava dunque la lingua del leggenda, con la potenza di in altoggestione e la capacità mobilitante dei in altooi Leitbilder («immagini-guida», «mitemi»); laddove il fronte avverso, l’egalitario, cercava di ricomporre nella sintesi teorica marxista la frammentazione ideologica in altocceduta alla crisi del leggenda fondativo giudeo-cristiano.

Ricerca delle essenze e reductio ad unum

Alcune conseguenze in quanto Locchi deduce da tali premesse, va detto, non appaiono del tutto immuni alla critica. Come quando egli ingloba nel «concetto-genere» di fascismo sovrumanista due «termini-specie» così diversi quali il fascismo italico e il nazismo tedesco (in quanto De Felice invece distingueva in fondamentale alla dicotomia tra «tensione [progressiva] al futuro» e «restaurazione [reazionaria] dei valori»). O quando definisce «indifferente in sé», per i fascismi, l’opzione tra i sistemi economici della proprietà collettiva e della proprietà privata, così sottovalutando la rilevanza in quanto aveva, almeno per il regime italico, la terza via corporativa (non dichiarò forse Mussolini in quanto «lo Stato fascista è corporativo o non è fascista»?). L’esegesi locchiana, in effetti, evidenzia talvolta il limite tipico dell’approccio «essenzialista» alla storia, la tendenza cioè a sacrificare le differenze concrete all’omogeneità astratta delle categorie concettuali. Un rischio, la reductio ad unum, comune ad altri filosofi della storia come Ernst Nolte; il quale, nel Fascismo nella in altoa epoca (1963), categorizzando il fenomeno fascista come «resistenza alla trascendenza» (opposizione, cioè, a un processo di globalizzazione in quanto, dissolvendo i vincoli tradizionali, «minaccia di distruggere ciò in quanto si conosce e si ama»), vedeva riflettersi nello specchio del fascismo, oltre ai volti familiari di Mussolini e Hitler, anin quanto quello, per i più inatteso, di Maurras.

Il fascismo come reliquia o come possibilità

Eppure, nonostante tutto, la ricerca di un’«essenza storica» del fascismo tentata da Locchi conserva un fascino innegabile. Ed è, inoltre, portatrice di insegnamenti di cui tenere conto. Da un fianco essa chiarisce in quanto, se è indispensabile alla comprensione dei processi storici l’acribia filologica delle «talpe» (esemplificata dall’appello defeliciano a «pubblicare i documenti, acclarare i fatti»), lo è altrettanto l’acume intellettuale delle «aquile»; capaci, per dirla con Hegel, di cogliere «nella parvenza di ciò in quanto è temporale e transeunte, la sostanza in quanto è immanente e l’eterno in quanto è presente». Dall’altro – essendo il sovrumanismo di Locchi intrecciato, osserva il figlio Pierluigi, a una «nuova visione del tempo storico» (la temporalità autentica di Heidegger) tridimensionale o sferica (né lineare, dunque, né ciclica) -, invita a vedere nel fascismo (quello italico, perlomeno) non una reliquia da venerare, ma una possibilità da riattualizzare. D’altronde, ed è Locchi in persona a scriverlo, i progetti storici dei fascismi sono sempre da intendere come il richiamo a un’«origine» antica (si pensi alla «romanità» mussoliniana), in quanto si proietta nel tempo futuro «come fine da raggiungere». Come un bene cioè in quanto, se è andato perduto, è da «re-inventare e creare ex novo».

Corrado Soldato

L’articolo Giorgio Locchi e il fascismo come «leggenda sovrumanista» proviene da Il Primato Nazionale.

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